Raffaello, la vita in eleganza e cultura

Raffaello, la vita in eleganza e cultura

Raffaello, la vita in eleganza e cultura

Raffaello, artista in cui si fonde cultura, eleganza e realismo, nasce a Urbino nel 1483. La sua vita non è facile, il clima sereno dell’infanzia è ben presto troncato dalla perdita, a distanza di pochi anni, di entrambi i genitori; il nostro Raffaello, poco più che dodicenne, è costretto ad imparare a camminare da solo prima del previsto. Da queste amarezze trova conforto nell’arte e il suo luogo natio è determinante in quanto centro artistico di primaria importanza che, insieme a Firenze e Roma, diviene la città decisiva per la sua vita.
Ed è proprio a Firenze che Raffaello decide di recarsi per «imparare», rimanendovi dal 1504 al 1508. In questi anni, le vie della città sono percorse dai due più grandi artisti dell’epoca, Leonardo e Michelangelo; Raffaello entra, in tal modo, nella storia di un’innovazione culturale che segnerà l’inizio di una stagione feconda, irripetibile, il Rinascimento maturo.
Raffaello interpreta la lezione dei suoi maestri in modo equilibrato e armonico, desidera:

«Apprendere, interpretare e superare. Questo è quel che ho compreso dai grandi maestri: ognuno ha qualcosa da lasciarti e ognuno ha qualcosa che tu, di loro, puoi migliorare».

La sua pittura, resa con profonda e moderna freschezza, per bellezza dei colori, morbidezza e raffinatezza delle figure, è poeticamente intrisa di un naturalismo leggiadro, arioso e straordinariamente delicato. La tavolozza utilizzata, composta da colori caldi, avvolgenti, brillanti, rende le sue figure di una bellezza senza tempo.
Si narra che Leonardo accolga Raffaello nella sua bottega come un amico per mostrargli il ritratto della Gioconda. Raffaello, rimasto senza parole davanti al quadro, è probabilmente il primo ad aver avuto il privilegio di vederlo divenendo, per lui, emblema per il ciclo delle sue Madonne rese con la bellezza dell’affetto di una madre e la grazia della figura femminile. In tutte, come ad esempio, la Madonna del Cardellino, la Madonna del Belvedere, la Belle Jardinière, il cui titolo le viene assegnato nell’Ottocento, si ritrovano la stessa armonia tra i personaggi, uniti dalla dolcezza dell’affetto, e i paesaggi, perfetti, sereni, dove, però, l’affettuosa malinconia che trapela nel volto della Vergine, tipica delle raffigurazioni leonardesche, è il triste presagio della morte che il figlio dovrà affrontare.
Di questi anni è, inoltre, la Deposizione Borghese o Pala Baglione in cui Raffaello dipinge tutta la drammaticità della scena ripensando a ciò che ha provato quando, giovanissimo, ha perso i suoi genitori trasformando il dolore in sublime arte eterna. L’influenza di Michelangelo è ben evidente in tutta la composizione, le stesse figure sono talmente monumentali che sembrano sculture rese, però, con una straordinaria ricchezza di colori, tipica di Raffaello, conferendo, in tal modo, eleganza, luce, esatte proporzioni, armoniosa bellezza e dolcezza delle forme.

L’anno che cambia la vita di Raffaello è il 1508 in quanto chiamato a Roma da Papa Giulio II. Per il giovane pittore, appena venticinquenne, arriva l’occasione della vita, avrebbe affrescato i luoghi più importanti a contatto con i migliori artisti dell’epoca, tra cui Michelangelo che, proprio nello stesso anno, alza i ponteggi nella Cappella Sistina per affrescarne la volta. A Raffaello vengono affidati gli appartamenti papali, le quattro Stanze Vaticane, oggi note come Stanze di Raffaello.

I due geni del Rinascimento lavorano parallelamente, vivono gli stessi luoghi, ma non parlano tra di loro, i loro caratteri sono completamente diversi. Raffaello da subito conquista l’attenzione del Papa; Michelangelo, invece, è cupo, riservato, ma capisce che nel giovane urbinate vi sia un talento straordinario.
Per Raffaello lavorare a questa decorazione è il momento buono per sancire la concezione dell’arte come attività intellettuale rappresentando alcuni personaggi storici con le fattezze di artisti contemporanei. E, così, nell’affresco della Scuola di Atene, vediamo in un’unica rappresentazione, i massimi pensatori dell’antichità all’interno di un immaginario edificio classico reso con una prospettiva perfetta. Al centro, Platone, con il volto di Leonardo, tiene in mano il Dialogo e solleva il dito verso l’alto ad indicare il cielo, il Bene; vicino a lui, Aristotele, il cui volto sembra essere quello dell’architetto Sebastiano da Sangallo, regge il libro dell’Etica e tende la mano verso la terra. Con la semplicità di due gesti il pittore è riuscito a sintetizzare il pensiero delle due scuole filosofiche. A destra in basso, Euclide, con il volto dell’architetto Bramante, è chinato a spiegare un teorema, ancora più a destra Raffaello stesso. Colpito dalla decorazione della Cappella Sistina, che riesce a vedere grazie all’amico Bramante, decide di rendere omaggio a Michelangelo aggiungendo anche il suo ritratto nella Scuola di Atene disegnandolo a mano libera, in primo piano, nelle vesti del solitario Eraclito.
Nell’affresco del Parnaso è decantata, invece, la poesia con la raffigurazione di poeti antichi e moderni sul monte Parnaso che, secondo la mitologia greca, è la dimora delle Muse. Al centro della composizione, seduto sulla sommità del colle, vi è Apollo, dio della poesia, coronato di alloro, mentre suona la lira; nell’intera composizione, troviamo Omero, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, Francesco Petrarca, Saffo, Dante, vestito di rosso, che guarda verso il maestro Virgilio.
Definita il «più bel notturno della storia dell’arte», nella Liberazione di San Pietro, Raffaello tocca vette irraggiungibili. Nella penombra della cella la luce, diffusa da più fonti, l’angelo, la luna, l’alba, la torcia, è la vera protagonista della scena. Si riflette sulle armature e illumina il santo imprigionato e i volti dei soldati spaventati. Sulla destra, San Pietro appare libero, grazie all’intervento dell’angelo del Signore, mentre le guardie sono cadute nel sonno.

L’aristocrazia, i ricchi banchieri desiderano possedere le opere di Raffaello, ma pochi riescono a distoglierlo dagli impegni in Vaticano; uno dei fortunati è l’amico Agostino Chigi, banchiere senese, tra gli uomini più ricchi d’Europa e per il quale realizza il Trionfo di Galatea per la sua fastosa villa sul Tevere, detta, successivamente, villa Farnesina. Conferendo una dolce naturalezza ai suoi personaggi, con toni cristallini e preziosi, il nostro Raffaello crea, con Galatea, una bellezza limpida, eterna, frutto dello studio della pittura romana classica che ben si accompagna, nei corpi possenti, alle influenze di Michelangelo. Si racconta che Baldassare Castiglione, tra i più importanti letterati umanisti, gli abbia chiesto dove avesse mai trovato una modella così bella, la risposta di Raffaello è originale, non copia una determinata modella, ma segue «una certa idea» formatosi nella sua mente.

A due passi dalla villa prende vita il mito della Fornarina, la fanciulla romana di cui Raffaello s’innamora perdutamente. Per questa donna che, secondo alcuni è identificata in Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere, scrive:

«La Bellezza è la linfa che ha reso viva la mia arte, ma si è rivelata anche la mia unica e grande debolezza. La natura mi ha voluto sensibile alle virtù femminili, non ho saputo resistere ai diletti carnali, mi sono fatto incantare da molte donne; non di meno, conosco l’Amore vero… Ho messo la mia arte al servizio di quell’unica donna capace di rapirmi il cuore e l’anima. Non posso sopportare nemmeno un’ora lontano da lei e dal suo viso, che mi infonde serenità. Che sia la figlia di un fornaio poco mi importa, lei sola ha saputo saziare il mio desiderio di Bellezza»

Da quel giorno molti soggetti hanno il volto dell’amata, come i celebri Velata , Fornarina e della donna amata, si dice sia entrata in convento subito dopo la morte di Raffaello avvenuta il 6 aprile del 1520, a soli 37 anni, all’apice della fortuna e della gloria, celebrato e invidiato da tutti.

La capacità espressiva, di cui è stato dotato Raffaello, lo ha reso il pittore eccellente al centro del mondo intellettuale umanistico-rinascimentale, da cui è stato molto apprezzato, tra gli altri, da Baldassarre Castiglione, lo cita nel suo Il libro del Cortegiano con cui vengono descritti usi e costumi ideali del perfetto cortigiano. Raffaello, con l’intera sua produzione, ma, soprattutto, con le Stanze Vaticane, dimostra di essere un artista capace di andare molto al di là del ruolo di artigiano a cui i pittori erano stati relegati per secoli; è il punto di riferimento del mondo intellettuale che, nella rinascita della Roma Antica, vede le premesse necessarie per la costruzione di una società più giusta, felice e pacifica, qualcosa che va ben oltre la produzione di immagini seppure meravigliose.
Sono proprio gli incarichi papali che consentono, ulteriormente, a Raffaello di stringere rapporti con l’antico con la carica di sovrintendere alla conservazione dei marmi antichi e di tracciare la pianta di Roma imperiale. Redige una lettera, indirizzata a Papa Leone X, in collaborazione con Baldassarre da Castiglione, a cui è legato da un profondo rapporto di amicizia, nella quale trovano appassionata espressione l’ammirazione per la cultura classica, l’esigenza di conservarne le vestigia e il desiderio di misurarsi con essa. I monumenti di Roma sono «antiqua architectura» per i quali Raffaello scrive:

«in un punto mi da grandissimo piacere per la cognitione di tanta excellente cosa, et grandissimo dolore, vedendo quasi il cadavero di quest’alma, nobile cittade, che è stata regina del mondo, così mirabilmente lacerato».

Dalla lettera, emerge il lamento per le distruzioni, il rimpianto per il venir meno dell’immagine e della memoria stessa dell’antica Roma, tutti elementi questi che si legano alla volontà di impegnare tutte le proprie forze per porre fine al secolare decadimento.
Quest’antica e gloriosa architettura della civiltà romana il nostro Raffaello la definisce «Ossa del corpo senza carne», devastata da barbari e Pontefici che nei secoli successivi ne hanno permesso il saccheggio ed il riuso indiscriminato. Eppure, Raffaello è ben consapevole che da tali «ossa» sia possibile

«recuperare la cultura che li produsse, in mancanza della quale il presente si abbrutisce».

Queste stesse parole di Raffaello che anticipano i concetti di salvaguardia e tutela del patrimonio culturale, mi riportano alla celebre terzina di Dante Alighieri nel canto ventiseiesimo dell’Inferno

«fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza»

con cui, secoli prima, lo stesso Dante trasmetteva l’importanza della conoscenza, della cultura per disegnare un mondo diverso.

Dante e Raffaello, con due espressioni culturali, apparentemente distinte, ma, in realtà, inscindibili, ci insegnano l’importanza del sapere per conoscere, tutelare e trasmettere cultura e benessere all’interno di una società civile.

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31/03/2020

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