Kandinsky e la vita nel colore

Kandinsky e la vita nel colore

Kandinsky e la vita nel colore

Vasilij Valil’evič Kandinskij (conosciuto internazionalmente con la trascrizione Kandinsky, con cui firmerà le sue opere), nasce nel 1866 a Mosca da famiglia benestante il cui idillio, purtroppo, s’interrompe, in un primo momento quando il padre è costretto a trasferirsi ad Odessa e, successivamente, quando i genitori si separano; a questo punto, il nostro Vasilij, all’età circa di 6 anni, viene affidato alla zia materna che stimola in lui l’amore per l’arte e la musica.
Vasilij, fin dall’adolescenza, è un ragazzo studioso, rigoroso, agli studi liceali affianca lezioni di pittura e di musica, suonando discretamente il violoncello e il pianoforte.
Immerso negli studi di diritto ed economia all’università e molto legato alla sua città dove ama passeggiare nel tempo libero dagli studi, appena ventenne, il nostro Valil’evič realizza il disegno Chiesa della Natività della Vergine a Mosca: è affascinato dalle chiese al cui interno prova sensazioni simili a quelle sperimentate nelle case dei contadini russi, povere, ma ricche di colori.

Si legge nei suoi scritti successivi:
«In quelle straordinarie dimore sperimentai per la prima volta la meraviglia che in seguito divenne elemento costitutivi della mia opera. Là imparai a non contemplare un dipinto dall’esterno, ma a muovermi nel dipinto, a vivere in esso».

La sua strada, però, è ancora improntata ad un mondo che nulla a che vedere con quello artistico, si laurea, infatti, a pieni voti in diritto, decide di sposare la cugina, Anja Čimiakin, con cui è nata una forte intesa intellettuale, la sua strada sembra definita, il suo futuro indiscusso, ma c’è qualcosa nell’animo del nostro Valil’evič che inizia a rimuginare. Ha viaggiato fin da piccolo, con la sua famiglia, infatti, è stato a Roma, Firenze e, tra il 1889 e 1892, soggiorna a Parigi, capitale culturale ed europea da cui resta del tutto conquistato; questo fascino perdura anche quando, nel 1896, a Mosca vi è la Mostra degli impressionisti francesi, tra le cui opere, è letteralmente colpito dalla serie di venticinque dipinti dei Covoni di Claude Monet.

Si leggerà, in seguito, nei suoi scritti:
«…notavo con stupore che quel quadro turbava ed affascinava, si fissava indelebilmente nella memoria fino al più minuzioso dettaglio. …. La pittura si mostrò davanti a me in tutta la sua fantasia e il suo incanto…».

La sua è una personalità dalla forte valenza artistica, ma anche scientifica, Valil’evič segue, infatti, con lo stesso interesse e la stessa passione, sia gli spettacoli teatrali sia le scoperte del mondo scientifico. Rimane colpito, in particolar modo, dalla musica di Richard Wagner, le cui composizioni, pervase da una contaminazione dei sensi, lo ammaliano del tutto: gli consentono di vedere i colori ascoltando i suoni. Scriverà, infatti: «Mi sembrava di avere davanti agli occhi tutti i miei colori. Davanti a me si formavano linee disordinate, quasi assurde». Non è, però, solo l’arte ad aprirgli un mondo diverso, è anche la scienza con la scoperta della radioattività che porterà, successivamente, agli sviluppi della scissione nucleare controllata da parte di Enrico Fermi. Scriverà Kandinskij: «La disintegrazione dell’atomo equivaleva per me alla disintegrazione di tutto il mondo. All’improvviso crollarono i muri più spessi. Tutto divenne incerto, vacillante e molle. Non mi sarei meravigliato se avessi visto un sasso sciogliersi nell’aria e scomparire».

È qui che cambia tutto per il giovane Vasilij che, avviato verso una brillante carriera universitaria, decide di abbandonare tutto per dedicarsi allo studio della pittura trasferendosi a Monaco di Baviera. La decisione non è tra le più semplici da seguire, osteggiata dalla stessa moglie che non riesce ad accettare come il marito lasci quello che, nella propria vita, rappresenti la certezza, la carriera accademica, per un qualcosa, del tutto nuovo, inaspettato e che rappresenti l’incertezza, la pittura. È questa, però, la strada che Vasilij desidera e, così, poco più che trentenne, non demorde.

Della sua prima produzione fa parte il celebre Cavaliere azzurro del 1903: un cavaliere con un mantello azzurro attraversa un paesaggio al galoppo di un cavallo bianco. La definizione dell’immagine è chiara, la composizione occupata del tutto da un prato dai colori cangianti, dal verde al giallo, che diventano quasi arancio, su cui si staglia il cavaliere azzurro che si fonde con la sua stessa ombra; la scena è chiusa da una fila di alberi svettanti e un cielo azzurro attraversato da nubi bianchissime. Kandinsky resterà talmente legato a questo dipinto che nel 1911 fonderà un movimento culturale con questo nome. Il cavaliere si ricollega a quelle figure medievali come simbolo della lotta fra il bene e il male: il guerriero buono trionfa sul male, lo spirito trionfa sulla materia. In merito al colore, per la scelta dell’azzurro, Kandinsky scrive: «L’azzurro è il colore tipicamente celestiale. È il colore del soprannaturale, fatto di trasparenze e di vertiginose profondità. Se molto profondo, l’azzurro sviluppa l’elemento della quiete; se scende fino al nero, acquista una risonanza accessoria di lutto non umano. Implica un approfondirsi infinito in quegli stati d’animo di serietà che non hanno fine e non possono averla».

Come la vita professionale, anche quella privata subisce dei cambiamenti, Vasilij si separa dalla moglie per legarsi alla pittrice Gabriele Münter sua allieva e con cui inizia una serie di viaggi, soggiornando a Parigi, vive per poco tempo a Berlino, stabilendosi, nel 1908, nel piccolo villaggio di Murnau, in Baviera. I colori ora diventano più vivi, si accentuano i contrasti chiaroscurali, mentre la fedeltà al dato naturale si va affievolendo sempre più fino ad ottenere risultati di grande intensità espressiva. In questi anni, entrambi dipingono spesso en plein air, alla maniera degli impressionisti, come si vede in Gabriele Münter mentre dipinge a Kallmünz in cui l’olio è steso con una pennellata molto pastosa.

Ancora legato all’impressionismo è Mulini a vento per l’impatto cromatico, ma la linea disegnativa che caratterizzerà sempre Kandinsky è ben evidente nella resa prospettica, nella dovizia dei particolari dalle piccole figurine al lavoro fino ai panni stesi davanti alle case, in questo modo di renderne l’atmosfera il nostro si va orientando verso il Pointillisme, pittura fatta di piccoli tocchi di colore puro che ritroviamo in opere quali Coppia a cavallo.

Coppia a cavallo sembra farci vivere un sogno o una fiaba con una coppia di innamorati stretti in un abbraccio che procede placidamente a cavallo, immersa in un paesaggio di alberi variopinti, mentre sullo sfondo una città si accende di luci abbaglianti, che si riverberano sullo specchio d’acqua del fiume, dove procedono lentamente piccole imbarcazioni che si mescolano con l’acqua colorata. Il dipinto potrebbe essere sì la descrizione di una fiaba, ma potrebbe essere anche un tanto desiderato sogno dell’artista: quello di ritornare nella sua “città madreMosca.

È di questi anni, la stesura del testo “Lo spirituale nell’arte”, che dedica alla zia materna e dove Kandinsky si propone come profeta di una nuova arte, un’arte spirituale, espressione dell’interiorità umana.
Inizia a farsi strada sempre più nell’animo del nostro Valil’evič il desiderio di creare un’arte che non sia legata solo alla realtà esteriore, ma anche a quella interiore: la pittura, per Kandinsky, dev’essere lo specchio di idee in formazione, pensieri confusi che prendono lentamente consistenza. C’è da precisare, tuttavia, che la sua non è una pittura istintiva, ma ben studiata così come dimostrano i numerosi bozzetti e fotografie che documentano le diverse fasi di elaborazione dei dipinti. La pittura, vero e proprio trionfo di forme e colori puri; lo stesso Vasilij ci riporta: «Per parecchi anni lottai con tutte le forze per trovare il modo, la tecnica per attrarre lo spettatore dentro il quadro stesso perché vi si mescolasse e ne diventasse parte». I colori non sono né circoscritti né limitati, ma hanno un’infinità di forme e tonalità. A Kandinsky interessa rappresentare lo spirituale nell’arte per avere un «contatto con l’anima» dello spettatore.

Valil’evič, allo scoppio del primo conflitto mondiale, lascia la Germania, vive tra Svizzera e Svezia, stabilendosi, alla fine della guerra, a Mosca, dove ritorna da solo in quanto anche il suo legame con Gabriele finisce. A Mosca, nonostante le difficoltà personali e il difficile momento storico, riesce a vivere un periodo di grande serenità e ottimismo testimoniato anche dalla sua attività produttiva e dalla nascita di un nuovo amore con Nina Andreevskij che lo accompagnerà, con amore e grande intesa, fino alla fine dei suoi giorni e da cui avrà l’unico figlio che, purtroppo, muore all’età di tre anni.
Con l’avvento della Rivoluzione in Russia, il nostro Kandinsky non vive un buon periodo, cade in ristrettezze economiche notevoli, la stessa vena creativa sembra spentasi, le sue stesse opere vengono rimosse dai musei. Decide, così, di fuggire a Berlino, trasferendosi nel 1922 a Weimar per insegnare presso la Bauhaus, Scuola d’arte e mestieri. Vi ritrova Klee che ha conosciuto durante il suo apprendistato a Monaco di Baviera, tra i due c’è un’amicizia e stima talmente forti che vivono con le rispettive famiglie nella stessa villetta bifamiliare e, anche dopo la chiusura della Scuola, la loro amicizia sarà sempre più profonda pur vivendo separati. Negli anni di insegnamento presso la Bauhaus, continua la sua produzione artistica dando vita ad una nuova fase produttiva, quella dei cerchi, di cui sintesi perfetta è Giallo, rosso, blu, dipinto di grandi dimensioni risolto nella tensione fra le due parti in cui è suddiviso fra il carattere «luminoso e aperto, pieno di energia e dal carattere spensierato» del giallo e quello «celestiale e profondo» del blu.

Dopo la chiusura della scuola, Kandinsky si trasferisce a Parigi apprezzando una certa curiosità verso il Surrealismo confrontandosi con André Breton e Joan Mirò.
Inizia ad elaborare una pittura biomorfa, nata dallo studio delle figure di microrganismi viste sulle tavole scientifiche. Molte figure ricordano animali marini trasfigurati in chiave fantastica. Kandinsky osserva il mondo con il suo «sguardo interiore» guardandolo ad occhio nudo, al microscopio, al telescopio e dando loro vitalità con il colore. L’apoteosi di tale osservazione avviene nel 1940, anno in cui la Francia è occupata dai nazisti, con Blu di cielo, dipinto in cui organismi fantastici non sono vincolati da nessuno schema geometrico, ma liberi di fluttuare nella «quiete» del blu.

Kandinsky mantiene salda la sua fede nell’arte sino alla fine, superando anche le dure privazioni imposte dalla guerra: nei momenti in cui manca tutto, non si perde d’animo, si adatta a dipingere anche su cartoni di piccole dimensioni. Il nostro Vasilij conosce le durezze della guerra, è già fuggito altre volte dalla guerra, dalle persecuzioni, ma sa in cuor suo che non vuole più lasciare la Francia, ancora una volta, non demorde, continua nei suoi sogni, continua a produrre, quello che sente e sa creare, ovvero arte, anche in momenti così drammatici, ma non facendo prendere mai il sopravvento, nelle sue opere, alla negatività del contesto.
La sua ultima opera, infatti, Slancio moderato non fa trapelare nulla del drammatico periodo storico in cui nasce. Il dipinto sembra descrivere un immaginario mondo sotterraneo, in cui esseri acquatici fantastici, simili a meduse si affiancano a microrganismi fluttuanti. Le figure sono immerse in un’atmosfera sospesa, dominata da un silenzio irreale, in cui sembra quasi di poter sentire, usando le parole di Kandinsky, il «suono del silenzio». L’opera descrive infatti «un mondo nuovo, ancora mai esistito» in cui «accanto al mondo naturale viene ad esistere un mondo dell’arte, un mondo che è reale al tempo stesso»:

«Tra le qualità nuove dell’uomo, dobbiamo sapere apprezzare la sua crescente capacità di sentire un suono nel silenzio».

Kandinsky, l’uomo, l’artista per il quale l’arte è connubio di vita, emozioni, musica e scienza, conferisce al colore il ruolo di voce narrante.

L’artista ricorderà sempre la gioia immensa provata quando a quattordici anni compra «con dei soldi risparmiati a fatica» la sua prima cassetta di colori. Si legge, infatti, nei suoi scritti:

«Quella sensazione di allora, l’esperienza viva del colore che esce dal tubetto la provo ancora oggi: una pressione delle dita» che, con alterni stati d’animo, emozioni, paure, stupore, pensieri, può dare vita a colori

«pronti in ogni momento a mescolarsi tra di loro e a creare serie infinite di mondi nuovi»

Ed è questo il messaggio che l’arte di Kandinsky, trasmette, a distanza di anni. Quella di oggi è una guerra diversa, la «guerra al Covid19 o Coronavirus», così come preferiamo chiamarlo questo nostro nemico invisibile, è una guerra che ci ha fermato nel nostro quotidiano, ci ha privato della nostra libertà e, nel caso peggiore, come tutte le guerre, ha privato anche molti dei propri affetti più cari, ma è una guerra che non ha tarpato le nostre ali e, ora, tocca a noi, che ci siamo, creare infiniti mondi nuovi con i colori che ci appartengono mettendo in gioco le nostre rispettive competenze, sensibilità, personalità e i nostri sogni.

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29/04/2020

megarideart

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